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Akadeli è un piccolo villaggio del Kenya, immerso nella savana, situato a pochi kilometri da Isiolo…

Se state cercando di localizzarlo su una mappa… beh farete sicuramente fatica! Akadeli è un villaggio costituito da pochi abitanti, con casette e soprattutto capanne sparse in mezzo al nulla; così piccolo che nemmeno Google Maps ha ritenuto importante mostrarlo!

Ma non temete, vi daremo noi un’idea più precisa della sua posizione, attraverso la cartina qui a fianco, e faremo di più… ve la descriveremo attraverso gli occhi e le parole del nostro presidente, dopo numerose visite in questo villaggio e dopo la realizzazione dei primi progetti…

akadeli

Il vento ti porta la polvere in bocca, polvere rossa di terra che non sente l’acqua da molti mesi, forse di più, qui capita spesso.  Si vedono le prime capanne da cui escono i bambini che si confondono con la terra. Intorno cespugli secchi, una savana arida a perdita d’occhio, lontano qualche albero. Questo è Akadeli, come l’ho visto la prima volta, un villaggio fra i tanti sull’altopiano centrale del Kenya, poco più di 1000 m d’altitudine, qualche centinaio di abitanti mal contati. Chi ci vive deve accontentarsi di quanto l’avarissima natura di questa terra gli mette a disposizione, cioè quasi niente.

Gli uomini portano su miseri pascoli qualche animale. Le donne coltivano qualcosa ma soprattutto affrontano ogni giorno chilometri a piedi per raccogliere poca acqua terrosa da un ruscello. I bambini, in queste condizioni, devono augurarsi di sopravvivere al primo anno di vita per poi affrontare come gli riesce una vita di stenti a cui si aggiungono le malattie: AIDS e malaria sono fra le principali cause di morte, favorite dall’impossibilità per la maggior parte degli abitanti di Akadeli di accedere alle cure e di pagarle.

Incontriamo la gente del villaggio per cercare di capire quali siano le difficoltà maggiori: i bambini non frequentano le scuole perché sono troppo lontane ma soprattutto manca, oltre a tutto il resto, quel banale, , scontato elemento che si chiama acqua. Ed è da qui che dobbiamo partire per comprendere meglio cos’era questo villaggio, cos’è oggi, cosa potrebbe diventare.

Quando siamo arrivati per la prima volta ad Akadeli, nessuno di noi poteva rendersi conto che l’acqua che impieghiamo ogni giorno al mattino per lavarci i denti fosse il doppio di quanto ciascuno degli abitanti del villaggio potesse usufruire per ogni sua necessità: lavarsi, rinfrescarsi, bere. La nostra, limpida e fresca, che sgorga tranquilla dal rubinetto e della quale spesso ci lamentiamo, la loro fangosa, raccolta a stento da un ruscello e trasportata sulle teste o sui fianchi, tutti i giorni, a piedi, dalle donne che portano spesso sulle spalle anche un bambino. Chilometri sotto il sole, fra la polvere, fino alle capanne, ogni giorno. Spesso questo compito è affidato anche alle bambine più grandi. Per questo abbiamo pensato che prima di aprire con questa gente un discorso sociale, culturale, sanitario dovevamo trovare l’acqua, per aiutarli a bere, a mangiare e per quanto possibile a lavarsi. Sia ben chiaro: gli abitanti di Akadeli non sono Selvaggi piombati sulla terra, è un popolo che ha alle spalle una grande antica civiltà ma davanti molti bisogni e tante necessità: la prima è sopravvivere.

Tornati a casa abbiamo raccontato questa situazione e chiesto aiuto, almeno per cominciare. Lo abbiamo fatto in paesi lontani dal Kenya, da questo Kenya che non è quello delle nostre vacanze esotiche e in molti ci hanno risposto.

Noi non vogliamo fare la carità a nessuno e meno che mai ai nostri fratelli africani di Akadeli. Vogliamo soltanto fornire loro gli strumenti per avviare un progetto di vita, ben consci che noi siamo dei privilegiati che hanno avuto soltanto la fortuna o il caso di nascere altrove. Così ci siamo posti come scopo primario quello di rendere gli abitanti del villaggio protagonisti attivi di un processo di sviluppo che potesse renderli indipendenti dagli interventi esterni.  Abbiamo costruito la scuola dando lavoro agli uomini del villaggio, li abbiamo coinvolti, loro che non avevano mai avuto voce, loro che non avevano mai deciso niente, nella realizzazione di cose concrete che potessero subito sentire come loro.

 Poi dopo aver superato le difficoltà burocratiche abbiamo cominciato a cercare l’acqua e l’abbiamo trovata! Abbiamo scavato un pozzo profondo 90 m che rifornisce due serbatoi d’acqua di 10.000 l ciascuno, quanto basta per le prime essenziali necessità della popolazione di Akadeli, un pozzo da cui sgorga acqua potabile, una banalità per noi, un miracolo per loro. Per capirlo, bisognava essere lì il primo giorno, quando l’acqua prima fangosa, poi pian piano più limpida, ha cominciato a scorrere dai tubi, vedere le facce increduli e felici per quel miracolo tanto atteso!

Forse proprio in quei momenti di festa grande, ci siamo resi conto del compito immane che ci attendeva. Avevamo chiesto aiuto per dar da bere ai nostri piccoli amici di Akadeli e dietro di loro sono spuntate le bocche assetate dei campi che non vedevano acqua da mesi. Ed è nata l’idea di un progetto di canalizzazione da un ruscello distante 5 km, che ha permesso di irrigare i campi con un sistema di tubi interrati.

Le donne sono la vera anima di questi villaggi! A loro è demandata la cura dei figli, l’approvvigionamento del cibo e dell’acqua, la raccolta della legna e spesso anche la costruzione delle capanne, per questo sentono fortemente il peso e la responsabilità nei confronti di tutti i componenti della famiglia, compresi gli anziani. Per migliorare la loro condizione di vita abbiamo iniziato ad insegnar loro a cucire e visto il loro entusiasmo abbiamo costruito un piccolo laboratorio, presso la casa di accoglienza di kambi Ya Juu, dove un gruppo iniziale di 18 donne con vecchie macchine da cucire ha imparato a confezionare le divise dei ragazzi della scuola di Akadeli, a lavorare a maglia poi anche a preparare i vestiti da vendere nel vicino mercato di Isiolo; le abbiamo aiutate a costituire una cooperativa di lavoro  che consente loro una piccola autonomia finanziaria. Proprio alle donne, sottomesse, frustrate per generazioni, spetta ora il compito di guidare la trasformazione di Akaldeli.

 L’arrivo e la disponibilità dell’acqua potabile hanno consentito di realizzare una piccola infermeria dove un’infermiera diplomata, Alice, ha insegnato a tutte le mamme del villaggio le nozioni basilari di igiene e prevenzione dei malanni più comuni, dei bambini e degli adulti. Due primi risultati, in breve tempo: una drastica riduzione della mortalità infantile e un notevole miglioramento delle condizioni sanitarie e di vita della popolazione.

Verrebbe quasi voglia di tirar le somme, ma ci siamo accorti di essere ancora in cammino, sulla lunghissima strada che abbiamo intrapreso quando, anni fa, vi abbiamo chiesto “50 centesimi al giorno perché un bambino di Akadeli possa vivere”.

Era quanto bastava e vengono i brividi a pensare a quanti 50 centesimi costano al giorno i nostri bambini, nelle nostre città e nelle nostre case. E ci renderemo conto di quanto sprechiamo, nella convinzione di vivere normalmente, anche modestamente. E pure gli altri, quelli ai quali abbiamo donato mezzo caffè, appunto quei 50 centesimi, con quelli hanno bevuto, mangiato, si sono lavati, hanno costruito una scuola, un primo ambulatorio, un laboratorio di cucito…

Ci siamo anche resi conto di un altro grande problema: quello dei giovani. Sono la fascia più debole della società, vivono nello sconforto di sentirsi estranei a un processo evolutivo che ha coinvolto i loro padri e sta aiutando i loro fratellini e le madri, non loro, che magari hanno già visto la città e ci vogliono tornare, che non sanno che farne di quelle buffe tradizioni nate nelle capanne, che spesso cercano in un po’ di alcol o masticando qualche foglia di Miraa, la droga locale, di dimenticare la fame e la povertà. È un problema che ci coinvolge profondamente perché di fondamentale importanza per il vero e profondo cambiamento culturale del villaggio. Ne abbiamo parlato a lungo per porre le basi ad un prossimo progetto che potrebbe essere la creazione di una cooperativa dove questi giovani possono imparare a esercitare i mestieri che si inseriscano nello sviluppo economico di ciascun villaggio. Potrebbero lavorare, guadagnare, inserirsi nella vita sociale, potrebbero….

, mi rendo conto che possono sembrare farneticazioni, poi mi fermo a guardare le foto di quanto Akadeli e gli altri ci hanno regalato in questi anni: la scuola, l’acqua, un laboratorio… una mensa che sfama 600 bambini al giorno. Devo continuare? No, la strada è lunga e abbiamo tante cose ancora da fare ma la polvere rossa che sale dai campi di Akadeli non ci spaventa più.

Marina Filippa

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